E' uscito in questi giorni, per i tipi della casa editrice Lim e
con il contributo del Conservatorio di Frosinone, una monografia di
Maria Francesca Agresta sulle musiche per il cinema di Daniele
Paris, fondatore del Conservatorio stesso e personalità di grande
livello nel panorama culturale e artistico italiano e europeo della
seconda metà del Novecento.
Il libro si intitola "Il Suono dell'interiorità" e reca il
sottotitolo esplicativo: "Daniele Paris per il cinema di Liliana
Cavani, Luigi Di Gianni, Lorenza Mazzetti". Confesso che tra i
tanti motivi di soddisfazione e gratitudine che nutro per chi mi ha
aperto la strada a questa bella esperienza di presidente di
Conservatorio, c'è anche il fatto di avermi consentito di
accostarmi a questa figura straordinaria, che dovrebbe essere
conosciuta più di quanto non sia. Nella ricorrenza del ventennale
della sua morte (nella foto, l'annullo filatelico) abbiamo promosso
la pubblicazione di una bioografia critica di Maurizio Agamennone
che ne ha ricostruito la figura e l'importanza (con tante belle
testimonianze dei suoi allievi e collaboratori). Oggi arriva il
libro di Maria Francesca Agresta per il quale ho scritto una delle
due introduzioni (l'altra è di Antonio D'Antò che dirige oggi il
Conservatorio e custodisce, con devozione filiale, il ricordo
d'artista e insegnante del Maestro). Mi piace farla conoscere ai
lettori del mio blog. Si intitola "La generosità di Daniele Paris".
Eccola, di seguito.
Racconta Liliana Cavani, nella conversazione in cui ripercorre,
rispondendo di buon grado alla competente e quasi affettuosa
sollecitazione di Maria Francesca Agresta, la sua felice
collaborazione con Daniele Paris, che "nel mio film Al di là del
bene e del male, nella scena del medium l'orchestrina che suona e
la soprano che canta erano alcuni allievi del Conservatorio. (…)
Quando poteva, lui utilizzava i ragazzi del suo Conservatorio".
È la conferma autorevole di un tratto del Maestro che, dalle
testimonianze di chi gli fu collaboratore e allievo, ho imparato a
conoscere e che questo accurato studio sulla sua attività musicale
per il cinema opportunamente sottolinea: la scelta di vita che per
lui rappresentò la fondazione del Conservatorio e la volontà di
creare occasioni perché coloro che si erano affidati al suo
magistero, così ricco e anticonformista, potessero avere
l'occasione per mostrare il loro talento e per cimentarsi - anche
lontani da Frosinone - in prove professionalmente impegnative.
Si potrebbe parlare di generosità, e il libro di Maria
Francesca Agresta ce ne dà diversi esempi. Uno davvero
straordinario, come nel caso in cui egli offrì, senz'altra ragione
che la curiosità intellettuale e artistica verso una giovane che
azzardava percorsi nuovi, la sua musica per "K" il documentario di
Lorenza Mazzetti che fu una sorta di preludio alla rivoluzione del
Free Cinema inglese e che, grazie anche a questa prima prova, lo
vide autore ricercato e apprezzato delle colonne sonore di film che
avrebbero segnato la storia di questo originale movimento che
intese, con le sue immagini, scoprire la poesia nascosta e amara
della vita quotidiana delle persone più umili.
E certo anche di generosità si potrebbe dire a proposito dello
straniante commento musicale che Paris - restando bene attento a
evitare che il timbro dell'autore sovrastasse il resto - assicurò
alla ricerca etnografica di Luigi Di Gianni i cui documentari,
sulle tracce degli itinerari storici e antropologici tracciati da
Ernesto De Martino, raccontano il sud magico e la vita delle
persone sospese in un orizzonte che sembra aprirsi alla storia solo
con la tragedia naturale e l'apocalisse culturale.
O, ancora, non trovo come possa essere definita diversamente da
generosa la scelta di intraprendere, tralasciando prospettive più
facili, il suo lungo lavoro di educazione alla musica: quel
"fondare gli strumenti" per creare un pubblico in grado di
intenderla - come spiega Liliana Cavani, in un passo
dell'intervista che è anche un'inedita risposta alla domanda sul
perché Paris a un certo punto della carriera abbia abbandonato la
scena romana e la sperimentazione di avanguardia e sia tornato a
Frosinone. "Lui - confida la regista - era talmente genuino che ha
capito qual era il problema della musica: non si possono fare degli
intellettualismi, ma bisogna insegnarla. È inutile fare le finte
rivoluzioni musicali che non servono a niente. Soprattutto che non
hanno interlocutori".
Il volume di Maria Francesca Agresta, in fondo, ci illustra - con
chiarezza narrativa e scrupolo filologico - la generosità di
Daniele Paris, la sua voglia di nuovo, la sua idea che musica e
cinema potessero essere i linguaggi capaci di cogliere quella
socialità dell'espressione artistica votata ad affrontare e
sciogliere i nodi del presente e perciò a declinarsi nella vitalità
di un impegno politico alto, quello che la migliore tradizione del
Novecento ci ha lasciato in eredità.
Una generosità con cui egli seppe dare l'anima a un progetto
pionieristico e a un'ambizione sociale e culturale, di cui il
Conservatorio si impegna a custodire, per oggi e per il futuro, il
significato più autentico.